La santità nella Famiglia Paolina

Tutti siamo stati chiamati alla santità

Nel battesimo i discepoli di Cristo sono divenuti figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò sono veramente santi. Il Concilio Vaticano II mette in rilievo con particolare vigore la chiamata universale alla santità, reagendo così ad una visione che fa consistere la santità in gesti straordinari e in modi di agire lontani dalla vita della gente comune, fino ad essere considerata come un articolo di lusso, un patrimonio di pochi. A questa visione deformata la Lumen gentium [LG] risponde con chiarezza che tutti i fedeli sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità, e cioè alla santità (cfr. nn. 40-42). Sotto questa luce, i beati e i santi sono quei fedeli nella cui vita la Chiesa riscontra la perseveranza, fino alla fine, nella pratica delle virtù e li propone pubblicamente come modelli e come intercessori presso Dio. Fin dagli inizi della sua storia, la Chiesa li ha celebrati con particolare venerazione, insieme a Maria, Madre del Figlio di Dio, gli apostoli e i martiri e ha implorato la loro intercessione. A questi si sono aggiunti tutti coloro che, per il singolare esercizio delle virtù cristiane e i carismi divini, vengono raccomandati alla devozione e imitazione dei fedeli (cfr. Divinus perfectionis Magister, n. 1).

Ricevere il battesimo significa mettersi sulla strada della radicalità del discorso della montagna: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). In effetti, si tratta della realizzazione più piena di quella dignità dell’uomo che Gesù Cristo ci ha acquistato incarnandosi e morendo per tutti sulla croce (cfr. Novo millennio ineuntenn. 30-31). Scrive il card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi: «La santità appartiene al DNA della Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Lungo i secoli i santi hanno costi­tuito le bussole spirituali, che hanno orientato l’umanità verso Dio. Essi sono gli autentici innovatori della storia. Con la loro esemplarità umana e spirituale migliorano il mondo, perché lo fecondano beneficamente con la verità e la carità infinita di Dio».

Papa Francesco, durante l’udienza generale del 19 novembre 2014, ricordava che «un grande dono del Concilio Vaticano II è stato quello di aver recuperato una visione di Chiesa fondata sulla comunione». Questa dimensione rende più facilmente comprensibile che «tutti i cristiani, in quanto battezzati, hanno uguale dignità davanti al Signore» e sono investiti della «vocazione universale ad essere santi». In cosa consiste tale vocazione e «come possiamo realizzarla?». Il Pontefice ha risposto, osservando innanzitutto che «la santità non è qualcosa che ci procuriamo noi, che otteniamo noi con le nostre qualità e le nostre capacità», bensì «un dono che ci fa il Signore Gesù, quando ci prende con sé e ci riveste di se stesso, ci rende come Lui». In altre parole la santità è «il volto più bello della Chiesa» che ci fa scoprire «in comunione con Dio, nella pienezza della sua vita e del suo amore»; essa non è «una prerogativa soltanto di alcuni» ma «costituisce il carattere distintivo di ogni cristiano».

Per portare avanti la sua opera, il Beato Giacomo Alberione ha sentito fin dall’inizio la necessità di attorniarsi di persone capaci, ma soprattutto persone sante, che vivessero cioè la totalità dello sviluppo personale che trova l’ideale nel modello Cristo. Così volle mettere come base della formazione paolina l’altissimo ideale di san Paolo: Donec formetur Christus in vobis (Gal 4,19).

A Don Alberione non mancarono certo le prove, anche molto dure. Eppure, in una occasione confidò ai primi giovani: «Due soli i miei fastidi: che io non sono ancora abbastanza buono e voi non siete ancora abbastanza santi. Questi due solamente sono i miei fastidi, altri non ne ho, tutto il resto è nulla e viene da sé» (Diario di T. Giaccardo, 15 febbraio 1918).

La vera originalità di Don Alberione non è stato l’aver adottato i moderni mezzi della comunicazione per evangelizzare, ma l’averne posto alla base una teologia e una mistica apostolica. Parlando della direzione dei periodici paolini, racchiude il senso dell’apostolato che vi si compie in questa esortazione: «O sacerdoti scrittori, scriviamo dopo la santa Messa, e facciamoci canali per cui il Sangue di Gesù passi dal suo Cuore, riempia il nostro, e per troppo pieno versi nei lettori… O scrittore Sacerdote, il frutto dipende più dalle tue ginocchia che dalla tua penna! Più dalla tua Messa che dalla tecnica! Più dal tuo esame di coscienza che dalla tua scienza!» (Carissimi in San Paolo [CISP], p. 20).

In un altro testo, dove parla del dovere di mettersi all’avanguardia nel servizio alla Chiesa con un apostolato certamente di frontiera, conclude: «Vi sia la persuasione che in questi apostolati si richiede maggior spirito di sacrificio e pietà più profonda. Tentativi a vuoto, sacrifici di sonno e di orari, denaro che mai basta, incomprensioni di tanti, pericoli spirituali di ogni genere, perspicacia nella scelta dei mezzi… Occorrono dei santi che ci precedano in queste vie non ancora battute ed in parte neppure indicate. Non è affare di dilettanti, ma di veri apostoli» (CISP, p. 807). Questo auspicio trova la sua realizzazione nella consacrazione vissuta in comunità, dove l’apostolo è radicato in una solida vita di preghiera che ha come sfondo l’ansia apostolica dell’Apostolo Paolo. Essa lo pone a contatto con il Maestro divino vivente nell’Eucaristia, che progressivamente lo fa «diventare conforme all’immagine del Figlio di Dio». Da questo non va disgiunta una soda formazione culturale, necessaria per poter svolgere adeguatamente l’apostolato con i mezzi moderni, che esige uno sforzo continuo e intelligente per non correre il rischio di camminare fuori del tempo.

Ciò che più evidentemente caratterizza la vita paolina è l’«apostolato» che, in molti casi, pur conservando una forte organizzazione, è vera evangelizzazione, e ci ricorda sempre che per sua natura la santità paolina è santità apostolica. «Apostolo è colui che porta Dio nella sua anima e lo irradia attorno a sé. Apostolo è un santo che accumulò tesori e ne comunica l’eccedenza agli uomini. L’apostolo ha un cuore acceso di amore a Dio e agli uomini; e non può comprimere e soffocare quanto sente e pensa... Egli, al dire di uno scrittore, trasuda Dio da tutti i pori: con le parole, le opere, le preghiere, i gesti, gli atteggiamenti; in pubblico ed in privato; da tutto il suo essere. Vivere di Dio! E dare Dio» (Ut perfectus sit homo Dei [UPS], IV, 277).

Per Don Alberione ogni Paolino deve essere sapiente per illuminare, fervente per confortare, santo per muovere alla santità: «Quando non vi sono i santi, il popolo non sa vivere il cristianesimo, perché i cristiani leggono il Vangelo più nella vita dei santi che nel libro divino… Gli uomini di ogni nazione hanno bisogno di vedere nei santi come si pratica il Vangelo» (Per un rinnovamento spirituale, p. 569).

Le vie della santità sono poi molteplici e adatte alla vocazione di ciascuno. Per i Paolini e le Paoline la santità è conformazione a Gesù Cristo Via, Verità e Vita, e quindi deve essere integrale, dinamica e apostolica. È nella conformazione a Cristo che si trovano le radici della santità autentica. Le pagine più belle di Don Alberione sulla santità riguardano proprio questo tema. Il processo della santificazione, secondo lui, è sostanzialmente un processo di trasformazione in Cristo, un processo di «cristificazione». La meta è poter arrivare a dire con san Paolo: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal 2,20). La santità così intesa esige un alto livello di corrispondenza all’azione della grazia. Di qui la sua originalissima definizione: «La santità è la testardaggine nel fare la volontà di Dio» (Alle Figlie di San Paolo, 1946-1949, p. 536).

La santità è dunque necessariamente dinamica. Don Alberione la vede realizzata in san Paolo: «Il santo non è un uomo sfinito, una mezza coscienza che non sa prendersi la propria parte nella vita… Per san Paolo la santità è la maturità piena dell’uomo, l’uomo perfetto… Il santo non s’involve, ma si svolge; non si ferma, ma ha per stemma il proficiebat (progrediva, cfr. Lc 2,52). La santità è vita, movimento, mobilità, effervescenza …» (CISP, p. 1135).

La santità paolina è poi integrale. È impensabile una santità fatta solo di preghiera, pur abbondante e profonda, senza uno sforzo di formazione e di povertà (consegna integrale di se stesso), e senza una dedizione effettiva nell’impegno apostolico; è impensabile una santità che consiste in una attività frenetica, ma non poggiata su una forte vita spirituale e senza la necessaria solidarietà e collaborazione richiesta dalla missione paolina; ed è impensabile una santità fatta di speculazione, di grandi conoscenze e approfondimenti teorici, se non fondati in una intensa vita di preghiera e finalizzati alla missione. Come pure sarebbe impensabile una santità dove la vita comune è perfetta, ma sterile dal punto di vista apostolico e missionario.

La santità paolina è infine totalità di donazione per la missione: «Tutto l’uomo in Gesù Cristo, per un totale amore a Dio: intelligenza, volontà, cuore, forze fisiche. Tutto: natura, grazia, vocazione, per l’apostolato…» (Abundantes Divitiae, 100). «Tutto: ecco la grande parola! La santità vostra dipende da quel tutto…» (Dalla predicazione del Fondatore sulla vita religiosa, ArGen/VRg. 213).

«L’incontro con Gesù, quindi, ci pone nella prospettiva dell’amore, ci dà un nuovo orizzonte e ci inserisce nell’itinerario della santità. Solo grazie all’incontro – o rincontro – con l’amore di Dio in Cristo Gesù, che si trasforma in felice amicizia, siamo riscattati dal nostro individualismo e riusciamo a rompere l’autoreferenzialità. In altre parole, per chi accoglie questo amore che ridona il senso della vita, è impossibile contenere il desiderio di comunicarlo agli altri; sente la necessità di uscire, di condividere quanto ha ricevuto. Noi Paolini siamo chiamati a vivere e ad annunziare il Vangelo (a uscire!), donando agli altri, nella comunicazione e con la comunicazione, ciò che abbiamo ricevuto dal Signore» (don Valdir José De Castro, La Santità. Uno stile di vita. Lettera annuale ai confratelli della Società San Paolo, Roma, 27 marzo 2016). Ecco il contesto in cui lo Spirito opera la conformazione a Cristo. È in questa cultura creata dalla comunicazione moderna che il Paolino e la Paolina vivono da testimoni del Vangelo, con la vita e con tutti i linguaggi. La santità paolina si radica nella scelta di “uscire”, di incontrare, di annunciare, di comunicare… ovvero di fare comunione con ogni persona. Una santità che, secondo l’espressione di papa Francesco, nasce e permane nella “cultura dell’incontro”: «Non basta passare lungo le “strade” digitali, cioè semplicemente essere connessi: occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero. Non possiamo vivere da soli, rinchiusi in noi stessi. Abbiamo bisogno di amare ed essere amati. … La rete digitale può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili ma di persone umane» (Papa Francesco, 48a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro, 24 gennaio 2014). Il santo nella comunicazione è colui che valorizza il rapporto personale e digitale, cerca di costruire ponti, si impegna a combattere la divisione, si spende per la comunione, ascolta Dio, gli altri, la realtà, ogni povero...

Insieme a san Paolo, la Madre di Gesù è modello di santità. Il Beato Giacomo Alberione si riferiva a lei come “editrice” di Dio, chiarendo che “editare” significa dare alla luce. E noi abbiamo la stessa missione di Maria, che è quella di accogliere e dare al mondo Gesù Via Verità e Vita, editando la Parola con tutti i linguaggi della comunicazione. La nostra beatitudine o santità è lasciare che lo Spirito ci renda “editori” di Gesù, come Maria Regina degli Apostoli.

Il Postulatore è il rappresentante dell’attore (promotore della causa) e anche della comunità dei fedeli davanti all’autorità competente. Egli ha il diritto e il dovere di seguire la causa in tutte le sue fasi. Ha un duplice ruolo nella ricerca della verità: difendere gli interessi dell’attore che l’ha nominato e collaborare con l’autorità ecclesiastica, che ne ha approvato la nomina. La nomina del Postulatore da parte dell’attore deve essere approvata dal vescovo responsabile per la fase diocesana, o dalla Congregazione delle cause dei santi per la fase così detta “romana” della causa. Per motivi d’ordine pratico, un Istituto religioso o un ente giuridico può avvalersi di un Postulatore per tutte le cause. In questo caso viene denominato Postulatore generale, la cui nomina è di diritto esclusivo dell’attore e deve essere approvata dalla Congregazione delle cause dei santi. Al presente possono essere postulatori non solo i sacerdoti, ma anche i religiosi e i laici senza distinzione di sesso.

Il primo Postulatore: don Stefano Lamera. Assecondando le richieste di molti confratelli, nel marzo del 1955 don Alberione decise di avviare le pratiche per la causa di canonizzazione di don Timoteo Giaccardo. Ciò comportò la nomina del Postulatore nella persona di don Stefano Lamera (nato a Bariano, Bergamo, nel 1912 – morto a Roma nel 1997), al quale va ascritto l’onore di aver dato inizio a tutte le cause oggi pendenti presso la postulazione della Famiglia Paolina.

Per volere del Fondatore, l’8 giugno 1955 don Lamera ottenne il nulla osta per l’introduzione del processo ordinario informativo sulle virtù, la vita e la fama di santità del servo di Dio don Giuseppe Timoteo Giaccardo presso il tribunale del Vicariato di Roma, celebrato, per rogatoria, presso il tribunale di Alba dal 7 luglio 1955 al 6 novembre 1956. Il 26 ottobre 1967 si concluse il processo apostolico presso il tribunale del Vicariato (celebrato contemporaneamente presso il tribunale di Alba). Nel­l’insieme l’apparato probativo consta di 57 testi con 100 de­posizioni. Il 2 aprile 1982 Giovanni Paolo II concesse la dispensa dal canone 2101 (50 anni dalla morte) per avviare la discussione sull’eroicità delle virtù del Servo di Dio. Il 9 maggio 1985 lo stesso Pontefice firmò il decreto sulla eroicità delle virtù, dichiarandolo venerabile, e il 22 ottobre 1989 presiedette nella Basilica di San Pietro in Roma la cerimonia della beatificazione di Giuseppe Timoteo Giaccardo, primo sacerdote paolino. Don Stefano Lamera lesse la rogatoria ufficiale.

Su indicazione di Don Giacomo Alberione e dietro richiesta del Postulatore don Stefano Lamera, il 4 febbraio 1959 il vescovo di Alba, mons. Carlo Stoppa, aprì il processo informativo sulla fama di santità del Servo di Dio Francesco Chiesa, concluso il 21 dicembre 1964, con la deposizione di 39 testi. Nello stesso tempo si iniziò il processo circa i numerosi scritti e il non culto. Il 31 ottobre 1960 ebbe luogo l’esumazione della salma nel cimitero di Alba. Il 23 marzo 1975 Paolo VI firmò il decreto di introduzione della causa di canonizzazione, e il 10 gennaio 1976 la Congregazione delle cause dei santi concesse di celebrare il processo apostolico nella curia di Alba, che si aprì solennemente nel tempio di san Paolo il 30 novembre 1977 e si concluse il 29 maggio 1979. L’11 dicembre 1987 Giovanni Paolo II firmò il decreto sull’eroicità delle virtù del canonico Chiesa, dichiarandolo venerabile.

Per iniziativa del Fondatore, Don Lamera promosse anche la causa di Maggiorino Vigolungo, il cui processo ordinario fu introdotto ad Alba il 12 dicembre 1961 e concluso il 26 settembre 1963; il processo apostolico fu aperto il 30 settembre 1981 e concluso il 21 ottobre dello stesso anno. Il 28 marzo 1988 Giovanni Paolo II firmò il decreto sull’eroicità delle virtù e gli conferì il titolo di venerabile.

Per volontà di don Alberione, presente in Alba all’apertura, don Lamera promosse pure il processo canonico della causa di fratel Andrea Borello, che ebbe inizio il 31 maggio 1964. Il 4 novembre 1965 ebbe luogo l’esumazione della salma, presente Don Alberione. Il processo si concluse il 3 marzo 1990 con la firma del decreto sull’eroicità delle virtù da parte di Giovanni Paolo II, che con tale atto lo dichiarò venerabile.

Don Lamera promosse anche presso il Vicariato di Roma l’introduzione della causa di beatificazione di Teresa Tecla Merlo, e il 26 ottobre 1967 iniziò il processo ordinario, che si chiuse il 23 marzo 1972. Il 22 gennaio 1991 Giovanni Paolo II firmò il decreto con cui si riconosceva l’eroicità delle virtù praticate da Tecla Merlo, dichiarandola venerabile.

Il 19 giugno 1982, nel tempio di san Paolo in Alba, don Stefano Lamera dichiarò aperto il processo cognizionale della causa di canonizzazione di Don Giacomo Alberione. I due volumi della Positio super virtutibus, studiati dalla Congregazione delle cause dei santi, portano la data del 31 maggio 1990. Il 25 giugno 1996 Giovanni Paolo II firmò il decreto di eroicità delle virtù del servo di Dio, dichiarandolo in tal modo venerabile. In vista della beatificazione, don Lamera sottopose al giudizio della Congregazione delle cause dei santi la presunta guarigione miracolosa dell’Annunziatina messicana María Librada González Rodríguez.

Don Stefano Lamera introdusse pure la causa di M. Scolastica Rivata, e iniziò il processo cognizionale presso il tribunale di Alba il 13 marzo 1993. La causa di M. Scolastica Rivata è stata la prima ad essere introdotta seguendo la nuova normativa promulgata da san Giovanni Paolo II (1983). Questo spiega la maggior chiarezza e rigore della Positio rispetto a quelle precedenti, grazie anche alla preziosa collaborazione di suor M. Joseph Oberto, pddm.

Ancora a don Lamera fu affidata la causa di canonizzazione di suor M. Clementina Anuarite Nengapeta, prima martire del Congo. La Società San Paolo assunse gli oneri della postulazione, affidandola al Postulatore generale della Famiglia Paolina. Con la preziosa collaborazione di don Rosario Esposito, egli portò avanti la causa fino alla beatificazione, che ebbe luogo a Kinshasa il 15 agosto 1985 durante il primo viaggio missionario in Africa di Giovanni Paolo II.

Altri postulatori. Il 7 giugno 1997, dal Superiore generale don Silvio Pignotti fu nominato Postulatore generale della Famiglia Paolina don Luigi Valtorta (nato a Cassano d’Adda, Milano, il 23 agosto 1944). La nomina ufficiale è del 26 ottobre 1997, approvata dalla Congregazione delle cause dei santi il 27 ottobre 1997. A don Valtorta va il merito di aver ripreso e portato a termine il laborioso processo sulla guarigione, per intercessione di Don Giacomo Alberione, dell’Annunziatina messicana M. Librada González Rodríguez, riconosciuta inspiegabile dalla consulta medica il 14 febbraio 2012, che ebbe il voto positivo dei consultori teologi il 6 settembre dello stesso anno, e riconosciuta miracolosa il 15 ottobre dai padri cardinali e vescovi, il che aprì la via alla beatificazione. Il 27 aprile 2003 Giovanni Paolo II, sul sagrato della Basilica di San Pietro in Roma, proclamò Beato Giacomo Alberione.

Il 17 (19) gennaio 2005 fu nominato Postulatore generale della Famiglia Paolina, dal Superiore generale don Silvio Sassi, don Antonio Francisco da Silva (nato il 18 gennaio 1943 a Passos, Stato di Minas Gerais, Brasile), approvato dalla Congregazione delle cause dei santi il 27 gennaio 2005. Egli seguì le pratiche per la traslazione delle spoglie di M. Scolastica Rivata dal cimitero di Alba alla chiesa di Gesù Maestro di Roma, dove riposano dal 3 aprile 2008.

Il 1° settembre 2010 fu nominato Postulatore generale della Famiglia Paolina dal Superiore generale don Silvio Sassi (approvato dalla Congregazione delle cause dei santi l’8 ottobre dello stesso anno) don José Antonio Pérez Sánchez (nato a Tamames, Salamanca, Spagna, il 1° giugno 1945). È stato confermato dal nuovo Superiore generale, don Valdir José De Castro, il 2 aprile 2015.

Dal 19 marzo 2012 si è costituito, in maniera informale, una équipe di scambio e di lavoro dove collaborano con il Postulatore le quattro rappresentanti delle Congregazioni paoline femminili.

Il 22 giugno 2012 il Congresso peculiare dei consultori teologi, ha espresso all’unanimità il parere favorevole sulla eroicità delle virtù della Serva di Dio M. Scolastica Rivata e, nella sessione ordinaria del 5 novembre 2013, i padri cardinali e vescovi hanno riconosciuto che la Serva di Dio ha esercitato in grado eroico le virtù; papa Francesco ha dato mandato di rendere pubblico il decreto il giorno 9 dicembre 2013.

Tra il 29 marzo e il 5 maggio 2014 le reliquie del Beato Timoteo Giaccardo sono state trasferite dalla cripta del Santuario Regina degli Apostoli in Roma, passando per Narzole, Bra e Sanfrè, al tempio di San Paolo in Alba.

L’8 novembre 2018 il Superiore generale, don Valdir José De Castro, ha nominato Postulatore generale della Famiglia Paolina don Domenico Soliman (nato a Thiene, Vicenza, il 2 giugno 1966), approvato dalla Congregazione delle cause dei santi il 23 novembre 2018.

In attesa del fatto miracoloso, l’impegno della Postulazione in questo momento è rivolto alla promozione della conoscenza e la devozione ai testimoni della Famiglia Paolina, che provochi la petizione e l’otenzione di grazie, tra cui si possa identificare qualcuna scientificamente inspiegabile da presentare al Dicastero delle cause dei santi come presunto miracolo, in vista della canonizzazione dei Beati e la beatificazione dei Venerabili.